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Tar Campania-Napoli, Sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 1042
– se costituisce munus irremissibilmente gravante in capo alla stazione appaltante quello di: i) foggiare ex ante un quadro precettivo chiaro e stabile idoneo a governare de futuro l’azione dei concorrenti, o aspiranti tali, orientandone la voluntas negoziale, sulla opportunità di partecipazione (an) e, di poi, in sede di formulazione della offerta (quomodo e quantum); ii) garantire la certezza dei referenti normativi cui l’operatore può commisurare la legittimità, ovvero l’opportunità, economicità e/o convenienza delle proprie condotte, in modo da preservare i valori della stabilità e della sicurezza giuridica; iii) incrementare in tal guisa la fiducia degli operatori economici – bene primario per il mercato e per la libertà di circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, id est dei principi fondamentali del diritto dell’Unione che governano l’aggiudicazione degli appalti pubblici – pel tramite della prevedibilità e della calcolabilità dell’impianto regolatorio e prescrittivo che ne informa l’agere nel corso della procedura concorsuale;
– specularmente, e parimenti, grava in capo ai partecipanti alla procedura –pur sempre operatori professionali, il cui contegno va valutato al lume di una qualificata soglia di diligenza (art. 1176, comma 2, c.c.) in conformità dei generali principi di buona fede, correttezza, lealtà e trasparenza- l’obbligo di conformare la propria azione a canoni precettivi la cui osservanza è ragionevolmente esigibile, tenuto conto del complesso delle disposizioni che governano la gara e della oggettiva percepibilità della esistenza di obblighi da assolvere –a pena di esclusione- in quanto discendenti dai principi generali e dalle prescrizioni normative di settore, siccome individuate o lumeggiate nella lex specialis, ovvero che con essa lex specialis siano compatibili.
2.3.5. Di qui la esigibilità dell’obbligo del partecipante alla procedura, operatore professionalmente qualificato, di “leggere” ed “interpretare” il bando di gara in guisa aderente al superiore principio che vieta il disvelamento tout court, all’interno della offerta tecnica, dell’unico elemento qualificante la offerta economica [il canone di concessione] (1)
La sentenza si pone in contrasto con quanto già affermato dallo stesso Tar Napoli, VII, nella sentenza del 21 maggio 2019, n. 2706, che aveva chiarito la disciplina europea e del Codice dei Contratti Pubblici sulle concessioni e sul valore dell’offerta economica: “Ai sensi dell’art. 8, comma 2, della direttiva 2014/23/UE: “…Il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi. Tale valore stimato è valido al momento dell’invio del bando (…)”. Inoltre, il comma 3 del detto articolo stabilisce che il valore della concessione deve essere calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione, indicando poi la norma gli stessi elementi di valutazione, al fine di consentire alle imprese di poter verificare anche i criteri utilizzati dalla stazione appaltante per la sua commisurazione. Ai sensi della suddetta disposizione: “3. Il valore stimato della concessione è calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione. Nel calcolo del valore stimato della concessione, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori tengono conto, se del caso, in particolare dei seguenti elementi:
a) il valore di eventuali forme di opzione e di eventuali proroghe della durata della concessione;
b) gli introiti derivanti dal pagamento, da parte degli utenti dei lavori e dei servizi, di tariffe e multe diverse da quelle riscosse per conto dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore;
c) i pagamenti o qualsiasi vantaggio finanziario conferito al concessionario in qualsivoglia forma dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore o da altre amministrazioni pubbliche, incluse le compensazioni per l’assolvimento di un obbligo di servizio pubblico e le sovvenzioni pubbliche di investimento;
d) il valore delle sovvenzioni o di qualsiasi altro vantaggio finanziario in qualsivoglia forma conferiti da terzi per l’esecuzione della concessione;
e) le entrate derivanti dalla vendita di elementi dell’attivo facenti parte della concessione;
f) il valore dell’insieme delle forniture e dei servizi messi a disposizione del concessionario dalle amministrazioni aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori, purché siano necessari per l’esecuzione dei lavori o la prestazione dei servizi;
g) ogni premio o pagamento ai candidati o agli offerenti”.
Il contenuto di tale norma è stato trasposto nell’art. 167 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, dal cui contenuto si desume in maniera inequivocabile che il valore della concessione non può essere parametrato sic et simpliciter all’importo del canone concessorio.
La previsione è vincolante e costituisce, come visto, recepimento, nell’ordinamento italiano, dell’art. 8 della direttiva n. 2014/23/UE, senza alcuna statuizione (ed in questo è una significativa differenza con la direttiva comunitaria) di soglie minime di applicabilità o di una qualche esenzione per le concessioni di minore valore economico. Del resto, ai sensi del previgente D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la giurisprudenza si è consolidata nel fornire un’interpretazione delle norme conforme al diritto europeo, escludendo anche nell’assetto anteriore che il valore della concessione potesse essere riconnesso sic et simpliciter all’importo del canone concessorio (ex multis, Cons. Stato, sez. III, sent. 2926 del 14.6.2017).”